CRAZY PIZZA A VIA DEI TRIBUNALI CIVICO TRENTADUE.




Di fermentazioni involontarie, pani e amalgami ammaccati a forma di pizza, ci si saziavano gli antichi Egizi agli albori dell’esistenza umana.
Questo straordinario lascito mediorientale reso accessibile dalle svariate esposizioni museali sparse nel mondo, va tenuto in seria considerazione quando si parla di argomenti cibari in chiave moderna e soprattutto quando si assiste alle infuocate rivalità social fra pizzaioli di chi ha inventato/innovato cosa o di chi affonda le proprie tradizioni/radici da prima della notte dei tempi.
La verità è che non esiste una verità assoluta in questo specifico settore, poiché ognuno, immemore di chi lo ha preceduto, tirerà sempre e solo acqua al suo odierno mulino.

Per abbozzare un ragionamento con un minimo di cognizione, si può additare un periodo storico nostrano del secolo scorso, inquadrabile per sommi capi all’arte di arrangiarsi dell’immediato dopoguerra (1945), fino al cosiddetto miracolo economico (1950-1960), abbondantemente rappresentati dal cinema neorealista (commedia all’italiana in primis) e dalla letteratura (da sfogliare come seta il bellissimo libro fotografico di De Crescenzo ambientato non a caso nel capoluogo campano, intitolato La Napoli di Bellavista).
Allora, ogni mestiere artigianale intrapreso era una vasta prateria di sperimentazione tutta da cavalcare, avanzando per errori, intuito e tanta ingegnosità, soprattutto nel correlarsi alle materie grezze che si avevano a disposizione.
Dagli anni ’70 in poi (gli ’80 vedono fiorire le prime associazioni strutturate di pizzaioli), si passa definitivamente dal rimedio della nonna alla Tecnica applicata alla quotidianità in tutti i campi dello scibile umano. Terzo millennio e Internet hanno poi chiuso il cerchio, sdoganando e dissacrando segreti e luoghi comuni dietro la riuscita di una buona pizza.

Parallelamente a quanto accadeva alle nostre latitudini, negli anni ’50, oltreoceano, era già deflagrato il fenomeno delle catene di fast food di pizza attraverso l’ascesa di un’entità sovrannaturale salmodiata da un popolo sterminato d’impresari statunitensi: il Franchising.
Come un fiume in piena, questa affiliazione commerciale tra imprenditori, ha esondato l’intero pianeta e spazzato via un numero incalcolabile di attività di piccola e media impresa.
Pare che da un certo punto in avanti, si sia cominciato a preferire il contenitore al contenuto, l’artificio alla naturalezza, la lusinga del messaggio pubblicitario alla tangibilità di un bene materiale eseguito ad arte.

Quanto finora esposto corre il rischio di lasciarsi dietro effluvi sdolcinati e appiccicaticci del tempo che fu, ma aggiungo che, a livello d’immaginario, vedermi l’episodio Pizze a credito de L’oro di Napoli, ancora m’infonde buonumore e gratitudine e non ho alcun problema ad affermare che starò sempre dalla parte di chi apre un’attività, la innova con dedizione e semplicemente ci campa, standoci dentro alla grande sia dal punto di vista umano che da quello economico. Senza oltrepassare i naturali limiti imposti dalla vita e fare la fine del solito gargarozzone, come soleva dirsi una volta a Roma colui che è insaziabile.




Infine arriviamo all’oggi, con tutta la ventata di disincanto e sfrontatezza comunicativa che l’oggi richiede.
Oggi dell’universo pizzofilo si sa tutto, dalla reologia delle farine allo sconfinato marketing delle stesse da parte di molini sempre più evoluti, dalla imponente comparsa di accademie di professionisti alle tribù di fissati di pizza disseminate nei social network, dove s’apprende l’aspetto tecnico più infinitesimale.
Negli attuali locali alla moda, impasti diretti o indiretti della tanto magnificata Pizza Contemporanea, vengono mescolati da impastatrici portentose, conservati all’interno di celle fermalievitazione da sogno e finalizzati dentro doppi forni simili a sfavillanti palle di fuoco.
Ogni singolo componente o ingrediente che caratterizza una pizzeria, fa tendenza a sé o al pizzaiolo-star sotto forma di sponsor, in un settore mai così fecondo di proposta e standardizzazione.
Il tanto fantasticato Ingrediente novus (cit. Umberto Maria Giardini) nascosto nella pizza non è mai esistito e la romanticheria da me più volte favoleggiata rimane solo nella mia testa.
Senza dimenticare che in quest’epoca limitarsi a gestire una sola sede pare sia diventato un oltraggio allo smercio e un cataclisma per gli affari, quando al contrario la Sede Unica ha storicamente alimentato e tramandato il mito di alcune storiche famiglie di pizzaioli partenopei.




In questo rassicurante quadretto, s’incastona alla perfezione la controversia mediatica scoppiata fra due pesi massimi dello showbiz mondano, nonché due facce manageriali della stessa medaglia: Flavio Briatore e Gino Sorbillo.
Dalla nascita della sua catena Crazy Pizza, l’imprenditore verzuolese da vecchia volpe del gossip quale è, ha sbatacchiato un po’ lo strofinaccio impolverato di farina, generando inquietudine nello status quo della pizza all’ombra del Vesuvio e facendo drizzare le orecchie a tutti i media italici.
Quanto detto e contraddetto è ben sintetizzato nel breve articolo di Pasquale Reicaldo sul quotidiano la Repubblica.
Fra accuse, provocazioni e il fine ultimo di salire tutti sul carrozzone della polemica, il risultato è sotto gli occhi di tutti, con tanto di epilogo a lieto fine nel programma Porta a Porta e possibili future collaborazioni.

Per quanto mi riguarda, parlare di pizza fra imprenditori è irrilevante, poiché il loro ruolo dirigenziale e d’immagine li costringe a stare sempre a distanza dalla dura realtà dei banconi da lavoro.
Degno di nota invece è il gioco di squadra dei team di esperti e apprendisti che portano avanti l’attività giornaliera di queste innumerevoli pizzerie brandizzate.
Lodi sperticate e lunga vita a questa preziosa e anomina maestranza!

Se la tendenza salottiera grida al Crazy Pizza, un disilluso Kurandone intona comunque Daje Pizza!



Kurando.
Luglio 2022.

Giano Zafferallo. Gambero Bronx.


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