Le Antiche Pizzerie DA MICHELE.
Vale a dire Napoli Vs. Roma.




Dai che zi Pigi mi ripeteva, “Fabbiò, il Michele romano ha aperto, è ora della sortita ufficiale. Naturalmente ai soliti orari matti nostri, che sennò sai quando entriamo?”.

La nuova sede ufficiale di Michele è a via Flaminia, luogo della Roma bene a un tiro di schioppo da Piazza del Popolo e Villa Borghese, di fianco all’Explora, un casermone vetrato che accoglie il Museo dei bambini.
Bacino d’utenza illimitato, fra turisti, studenti e lavoratori incravattati.
Questa era l’informazione istituzionale.

Quella underground invece, è che dall’altra parte della strada c’è la sede delle Edizioni Mediterranee, mirabile casa editrice che ha la capacità di stampare fondamentali libri scientifici come quelli di Erio Del Col sul mal di schiena, passando con disinvoltura a tematiche tipo i poteri paranormali di Gustavo Adolfo Rol, fino ai dischi volanti e l’immancabile culto di Sai Baba!
Roba grossa insomma.
Ormai fare un click su Amazon per ordinare un libro è facile come prendere la scala mobile al centro commerciale. E invece a noi piace ancora affrontare le scale a piedi, con la fatica che pizzica i polpacci e acquistare libri dal vivo dentro redazioni che pare di stare nello studio col galeone di Dylan Dog, Giuda ballerino…

Altra cosa gagliarda di via Flaminia accanto al neonato Michele è la Facoltà di Architettura.
Una volta avevo appuntamento dal notaio e visto che era ancora presto avevo deciso d’infilarmi all’università per verificare che facce avessero gli architetti del futuro. Nulla di rivoluzionario ad essere sinceri.
Uscendo, poco prima di dirigermi all’appuntamento, avevo scorto un discreto traffico di gioventù guardinga che invece di entrare in facoltà s’infilava in una stradetta e si dirigeva chissà dove. Figurati! Curiosissimo, m’ero messo a seguirli come un segugio e ‘sti pischelli enigmatici alla fine s’imboscavano dentro un capannone mezzo autogestito. Da paura!
Faccio per imboccare pure io con portamento sbarazzino/accademico, ma due giovanotti microscopici mi sbarrano la strada e mi dicono “Signore, non può entrare, questa è un’area privata!”. Porcoddue ma che state a scherzà - avrei voluto dirgli - a zii, ho finito di studiare tipo l’altro ieri, ma che davvero?
Ahò, niente, volevo fare il supergiovane e alla fine mi hanno trattato come un nonno Rodolfo qualsiasi rincoglionito e bofonchiante e la morale di questa mesta storia è che non ho mai saputo che minchia combinassero quei pigmei svergognati dentro un’officina in disuso fra la sterpaglia…

Detto ciò, passo finalmente all’argomento che mi ha catapultato davanti alla tastiera a scrivere sei righe.

Domanda da mille dobloni d’oro: ma alla fine, è meglio il Michele di Napoli o quello di Roma?




(Michele di via Flaminia, RM)




(Michele di Via Sersale, NA)

AHAHAH, che ingenui che siete, se pensavate che avrei parlato di questo. Se vi aspettavate la disamina muscolare e competitiva uguale a come fanno i soliti blog enogastronomici sulle dieci migliori pizzerie dell’universo, sui dieci pizzaioli più fuckyeah! del pianeta, la gara a chi fa il cornicione più gonfio o a chi apre più locali dai nomi più stronzi del reame.

Recensire sul serio una pizzeria richiede un’assidua frequentazione del posto e un assaggio ripetuto del pizzame, in diverse giornate dell’anno e dunque in differenti tipi di affluenza di pubblico e clima.
Il tutto nella totale inconsapevolezza dei gestori del locale.
Altrimenti so’ buoni tutti…
Solo attraverso un rigore del genere e la replica dell’esperienza almeno una decina di volte, si può delineare, tra i fisiologici alti e bassi produttivi, uno S T I L E R I C O N O S C I B I L E tra una pizzeria e l’altra.
Il resto sono solo chiacchiere di contorno.

La verità è che non può esserci gara tra il Michele romanesco e quello partenopeo. Poiché, per contesto regionale, rionale, strutturale e filosofico, giocano due campionati completamente diversi.

Restano però alcune considerazioni random cui vale la pena esaminare.

Un dato di fatto per entrambi, tanto per cominciare: la perenne formula napoletana che ha mandato in visibilio le papille gustative di mezzo mondo, è la stessa autentica che viene proposta a Roma.
Per cui, citando almeno le basi, farina Caputo, pelati Solea, fior di latte di Agerola e tutta l’esperienza centenaria che forma coi controfiocchi pizzaioli e fornai.

Quindi sì, a Roma, ti mangi la pizza uguale a quella di Napoli.

E quest’affermazione è rivolta ai romani che dichiarano di non gradire la pizza napoletana e nel dichiararlo ostentano quel sorrisino furbetto come di chi la sa lunga, ma alla domanda “Sei mai stato a Napoli a mangiare la pizza?” loro rispondono che no, non ci sono mai stato, però sono stato sotto casa mia da Anacleto il pizzettaro che fa anche la pizza napoletana e che però boh, così gonfia e morbida io mica la capisco.
Ebbene, cari amici conterranei, da oggi a via Flaminia avete un test più che egregio per continuare a ostentare il vostro sorrisetto garrulo oppure eliminarlo per sempre dai vostri volti.

Poi certo, parlavo di differenze macroscopiche fra i due Micheli e non poteva essere altrimenti.
Entrare nella pizzeria di Napoli, vivere l’esperienza popolare e poi dirigersi nella struttura abbiente di Roma, è come prendere mille aerei tutti insieme e sciropparsi seimila jet lag uno dopo l’altro. L'impatto percettivo è straniante.
Pare di entrare in maglietta e mutande a Napoli e uscire in frak e lustrini da Roma!
Infatti ci sarà da capire come reagirà la massa dei quartieri periferici romani, se il Tony Catena o il Johnny Samurai della situazione avranno l’ardire di uscire da casa, affrontare chilometri nel traffico impazzito e il parcheggio inesistente per raggiungere l’Antica Pizzeria da Michele e sorbirsi almeno un’ora di fila.

Per quanto riguarda la foggia delle pizze sfornate, l’impressione è che il forno di Roma debba ancora trovare il suo ruggito del leone della giungla, servendo pizze dall’aspetto ancora troppo blando (vedi anche diversità strutturale del forno stesso), non “avvampandole” come quelle di Naples, più colorate e decise, ma c’è anche da dire che la fornace di Napoli è praticamente accesa da sempre, tipo la fiamma del Milite Ignoto all’Altare della Patria.

La tanto discussa faccenda dei prezzi - considerata la struttura, il luogo e la città - m’è sembrata abbastanza inevitabile. Così come l’abbondanza di proposta cibaria, che oltrepassa di gran lunga le storiche marinara e margherita proposte a Napoli.

Resta immutato il divieto di prenotazione dei posti a sedere, per cui chi prima arriva meglio alloggia (santo zi Pigi).

Un mio consiglio comunque ve lo sparo. Per quello che vale.

A Napoli la regola di sempre è quella di scegliere la marinara e risucchiare fra lingua e palato impasto e condimenti. Mentre se si opta per la margherita, di solito la scelta cade sempre sulla doppia mozzarella.
A Roma la questione si fa diversa.
Perché dal passaggio della margherita normale a quella doppia mozzarella, il prezzo decolla da 7,50 a 9 euro tondi tondi.
E per motivare un prezzo così alto, la pizza viene caricata all’inverosimile di fior di latte. Particolare non da poco, perché tutta quella mozzarella, se da una parte ne motiva il prezzo, dall’altra rischia di far perdere l’equilibrio d’insieme e dopo qualche fetta trangugiata la pezza digestiva è dietro l’angolo.
Per cui, se volete una dritta, sparatevi una marinara o una margherita normale e godrete di un disco di pizza che fuoriesce dal piatto, buonissimo, equilibrato e dal sapore divino come solo da Michele quando sta in giornata! Garantito.

Per concludere, riporto stralci di una mia lettera natalizia immaginaria dedicata al leggendario Michele Condurro.

“… Quando pronuncio il nome Michele, mi si scatena nella mente un tripudio di sensazioni, di umanità, di racconti leggendari… l’attività frenetica della pizzeria di Forcella, pizzaiuoli e fornai assorti nell’inesauribile precisione dei loro gesti, il vicino di mangiata partenopeo che ti si piazza accanto e ti ci perdi in chiacchiere che quasi è ora di riordinare un’altra pizza, le foto sui muri della tua lunga dinastia, caro Michele, e di un Diego Armando Maradona scugnizzo e riccioluto che varca la soglia con un pizzico di sorpresa e curiosità in volto (e ti credo aggiungo io).

Per alcuni di noi raggiungere Napoli è raggiungerti a via Sersale, tarda mattinata dopo un caffè preso al volo, fregando sul tempo la concorrenza umana e piazzandoci alle ore 11.30 spaccate davanti l’entrata. Ecco, a noi ci trovi sempre lì, insieme ai granitici turisti asiatici, pronti a farci cullare dalla vampa del forno.

Prima ti mangi una pizza da Michele e solo allora la trasferta napoletana comincia a decollare.

Quando hai davanti quei dischi di pizza strabordanti dal piatto, alla Michele, ti guardi intorno e cerchi complicità con chiunque hai a tiro, perché tutte le volte non ti capaciti di quanto sia bello trovarsi fra quelle mura, felice di esserci. Di avere la possibilità di vivertela fino all’ultimo morso…”

Bellecose.


Kurando.
Dicembre 2016.

Giano Zafferallo. Gambero Bronx.