Gennaio 2011.


Martin Scorsese con Shine a Light si è garantito un terrazzino in bellavista nell’olimpo audiovisivo degli dei, filmando un concerto dei Rolling Stones in stato di grazia anagrafica e restituendolo praticamente intatto di quell’ingrediente emozionale che solo una performance goduta dal vivo può trasmettere.
Parte del merito è ovviamente da attribuire all’esibizione sovrumana dell’ensemble britannica, ma è la perizia tecnica di Scorsese a fare la differenza, domando le bizze imprevedibili dei nostri ultrasessantenni eroi e conferendo meticolosità e spessore in ogni infinitesimo dettaglio, col risultato di tenere incollato davanti allo schermo anche l’osservatore più distaccato. Anzi, più si è all’asciutto dei Rolling Stones e dei loro pezzi e più si resta impressionati dalla fantasmagoria sensoriale messa in atto.
In sintesi, l’opera di Scorsese non teme paragoni con altre pellicole musicali analoghe, avendo innalzato attorno a sé un bastione d’autore durissimo da valicare.
Eppure, là dove meno te lo aspetti, in mezzo al pubblico devoto dei concerti, in un’epoca in cui la rivoluzione digitale ha completamente stravolto il concetto di fruizione della cultura, qualcosa è accaduto.
Grazie allo sdoganamento di ogni diavoleria tecnologica capace di filmare e riprodurre il nostro presente, succede che sempre più spettatori, spinti dall’irrefrenabile voglia d’immortalare l’attimo magico della rappresentazione, giungano muniti di un dispositivo ultramoderno capace di fissare il momento a futura memoria (per soddisfare la mitica necessità di dire “io c’ero”, o forse per illudersi di sopravvivere al tempo, chissà). E allora si assiste a scenari collettivi angoscianti, con una miriade di videofonini, telefonini, telecamerine, macchinette fotografiche ammassati sotto il palco; una metastasi di schermini illuminati a giorno dal punto di vista di chi assiste dal fondo della platea o un esercito di braccia levate a puntare oggettini cromati come fossero armi da fuoco dal punto di vista di chi emoziona la folla da sopra il palco.
La morte della spontaneità si direbbe.
Ma anche nello scenario più tetro, contradditorio e anti rock‘n’roll dei giorni nostri, c’è sempre qualcuno pronto a tenderci la mano e a farci riconsiderare la faccenda da un diverso punto di vista.
L’iniziativa, architettata da un nutrito gruppo di fan dei Radiohead consapevoli del fatto loro, si è concretizzata in occasione di un concerto svoltosi a Praga il 23 agosto 2009.
Il coordinamento a distanza delle operazioni è avvenuto attraverso la capacità aggregante di internet, le riprese del concerto sono state realizzate mescolandosi tra la folla e riprendendo in modo amatoriale col proprio apparecchietto di registrazione e il tutto è stato montato con professionalità ottenendo addirittura l’audio del mixer direttamente dalla band dell’Oxfordshire!
Il risultato finale è notevole, la sensazione provata è quella di trovarsi lì di persona, come se il concerto si stesse svolgendo in diretta, regalando quell’ingrediente emozionale di cui sopra proposto da Scorsese, ma partendo da presupposti tecnici e creativi completamente differenti.
L’intero concerto è non profit e facilmente reperibile online nei vari formati (RADIOHEAD LIVE IN PRAHA 8.23.09).
Un ennesimo segno dei tempi.





(Radiohead Live in Praha 2009 - Reckoner)


[Ragionamento e commento di FABIO DI CESIDIO a.k.a. Fabbione a.k.a. Dottor Kurando]