Marco
Petrilli Alessandro Cudia
matr. 9900073-DAMS matr. 9900230-DAMS
(Corso
di Semiologia del cinema e della televisione
Prof.
Gian Paolo Caprettini - anno accademico 2002/03)
Questa
relazione intende analizzare due aspetti di particolare rilevanza semiotica
presenti nel film “Paura e delirio a Las Vegas” di Terry Gilliam. In prima
istanza verrà affrontata la trasposizione linguistica e narrativa del romanzo
originale nella pellicola, evidenziando la peculiarità di questa
operazione.Successivamente si passerà all’osservazione del continuo intreccio,
all’interno del film, tra Storia collettiva e storia individuale e della
funzione svolta da questo “meccanismo”.
“Paura
e disgusto a Las Vegas” di Hunter S. Thompson venne pubblicato per la prima
volta a puntate, nel 1971, sulla celebre rivista musicale americana “Rolling
Stone”, ottenendo subito un enorme successo sia di pubblico e di critica. A
contribuire alla sua affermazione fu la forza realistica, ma anche visionaria,
con cui l’autore aveva ritratto le “avventure” dei due protagonisti, due reduci
ormai alla deriva della “hippie generation”. Nella storia, Raoul Duke ,
improbabile giornalista sportivo ma, soprattutto, alter ego di Hunter S.
Thompson, e Dottor Gonzo, poco credibile avvocato di origini samoane, si
recano, agli inizi degli anni 70, a Las Vegas per seguire una corsa motociclistica.
Il loro vero interesse è, però, quello di compiere, come ricorda più volte
Raoul Duke, voce narrante della vicenda, un “viaggio al centro del sogno
americano” ovvero “un grossolano tributo fisico alle fantastiche possibilità di
vita in questo paese”. E non è un caso che i due si rechino proprio a Las
Vegas, il più evidente e controverso esempio di “ american way of life”.
Inoltre, i due protagonisti hanno con loro un’imponente scorta di droghe che
dovrebbe aiutarli nella comprensione della cultura americana. In realtà, tutte
queste sostanze li porteranno a vivere esperienze ora paradossali ora
terrificanti, nelle quali il mondo reale risulterà solo un ricordo lontano.
All’interno
della struttura narrativa rivestono un ruolo molto importante le continue
riflessioni di Raoul Duke sulla fine dell’ideologia hippie, alla quale, anni
prima, aveva aderito. Da questo punto di vista, il protagonista appare
estremamente deluso e pessimista, giungendo alla conclusione che tutti gli
ideali che avevano animato gran parte della gioventù americana degli anni 60,
erano stati dimenticati in fretta, anche a causa del massiccio uso di droghe da
parte dei membri del movimento, una pratica vista come mezzo veloce ed
“economico” per arrivare alla felicità. Ricorrenti sono, anche,le riflessioni
sulla “società” di Las Vegas, città assunta a simbolo del consumismo e del
conformismo più esasperati. In particolare, vengono messe in risalto la
distanza e l’incomunicabilità tra i due protagonisti, ridotti ormai ad “aborti”
della rivoluzione hippie, perennemente sconvolti dalle droghe più disparate, e
le migliaia di persone che affollano i casinò e le strade della città, viste
come esemplificazione dell’ “americano medio” più retrogrado e tradizionalista,
rimasto indenne dalle trasformazioni culturali verificatesi nel dopoguerra. Las
Vegas, inoltre, viene vista come capitale della stranezza, della bizzarria
architettonica più spinta, della tendenza alla sovrabbondanza ed al kitsch più
estremo tipici del capitalismo più sfrenato e volgare.
Nel
passaggio dal libro allo schermo non si assiste ad alcuna mutazione rilevante
né a livello linguistico né a livello diegetico. Il regista e gli sceneggiatori
rimangono aderentissimi al romanzo di Thompson: tant’è che in alcuni casi è
riscontrabile la trascrizione integrale di dialoghi e descrizioni. In realtà,
alcune parti del racconto originale vengono “tralasciate” , anche se le
differenze rispetto al testo sono comunque di poco conto. Lo stesso Terry
Gilliam, regista e co-sceneggiatore del film, in un’intervista apparsa sul
numero 16 di “Amarcord”1, ammette come, lui e gli sceneggiatori,
”avvicinandosi le riprese”, abbiano scelto di “tornare su Thompson e trasporlo
il più fedelmente possibile”. Così, sia il romanzo che la pellicola, sono
caratterizzati da un linguaggio narrativo e descrittivo estremamente espressivo
e vitale, più simile al parlato, un linguaggio in cui dialoghi ben congeniati e
graffianti si alternano a descrizioni realistiche ma, contemporaneamente,
visionarie, un linguaggio che rifugge da modelli letterari “alti”, che guarda
attentamente al presente, sovente deformandolo grottescamente. Da questo punto
di vista risultano molto significative le metafore e le similitudini usate
spesso e in modo “tagliente”, che coinvolgono uomini politici e sportivi,
sostanze stupefacenti e modelli di motociclette ed automobili2.
Anche la diegesi viene ripresa come appare nel romanzo, interrotta da
flash-backs atti a “stordire”lo spettatore, avvicinandolo al perenne stato di
alterazione dei due personaggi. Persino la “mise en scene” e lo stile visivo
adottati dal regista si riferiscono fedelmente all’opera di Hunter S. Thompson,
rendendo con molta efficacia persino le allucinazioni che coinvolgono Raoul
Duke e Dottor Gonzo. Per rendere ciò Terry Gilliam si affida ad una fotografia
che privilegia le luci artificiali, spesso intermittenti o multicolore, a volte
abbaglianti a volte tenui, una fotografia che utilizza colori accesi e cangianti.
Inoltre, il regista gioca con abilità sul contrasto tra il deserto, visto come
luogo aperto ed assolato, e la città di Las Vegas, che appare tentacolare e
“notturna”, illuminata solo dalle migliaia di luci dei casinò. Questo contrasto
è reso ancora più pronunciato dallo svolgersi di gran parte delle vicende nelle
camere d’albergo in cui i due protagonisti soggiornano, ambienti
claustrofobici, disordinati, spesso bui, rischiarati a stento dalla luce di
poche lampadine. È importante notare come Terry Gilliam, sempre nell’intervista
apparsa su “Amarcord”3, alla domanda ”Ti hanno influenzato i disegni
di Ralph Stermann, presenti anche nell’edizione italiana del libro?”, risponda
“I suoi disegni sono parte integrante del libro e quindi ci hanno chiaramente
influenzato (...) abbiamo cercato di cogliere l’essenza del disegno”, rendendo
così inequivocabile la scelta di aderire al testo il più possibile anche da un
punto di vista visivo. Persino la colonna sonora viene “ripresa” attentamente
dal romanzo:i due protagonisti ascoltano oppure cantano gli stessi pezzi citati
nell’opera di Thompson.
In
definitiva, “Paura e delirio a Las Vegas” risulta un caso particolarmente raro
di adattamento fedele di un film da un romanzo. Infatti, buona parte delle
pellicole tratte da testi preesistenti presentano o a livello diegetico o a
livello linguistico, spesso anche a livello semantico, variazioni ora minime
ora rilevanti. Volendo fare un esempio noto si potrebbe citare “Apocalypse now”
di Francis Ford Coppola, film tratto da “Cuore di tenebra”, racconto lungo di
Joseph Conrad. Nella pellicola l’azione viene spostata dall’Africa coloniale
ottocentesca del racconto al Vietnam devastato dalla guerra tra americani e
viet-cong: ciò comporta una notevole rielaborazione sia della struttura
narrativa, con l’aggiunta anche di episodi inesistenti nella trama
originale,che di quella linguistica, la quale risulta evidentemente
modernizzata. Anche a livello semantico si può notare un notevole
“arricchimento” della vicenda. Nel film di Terry Gilliam, invece, ciò non
avviene ed i motivi sono principalmente due: la completa adesione al messaggio
presente nell’opera di Thompson da parte di regista e sceneggiatori ed il
desiderio di raggiungere lo “stesso” pubblico del romanzo. Più precisamente,
l’analisi triste ed impietosa della fine della “hippie generation” e degli
ideali utopistici che sembravano, negli anni 60, dover prevalere sulla
“vecchia” società americana, viene fatta propria dal film, che la ripropone con
estrema convinzione. Quando, nella pellicola, Raoul Duke, ricordando gli anni
dell’impegno giovanile, riflette con amarezza che “sono passati 5 anni...6,
sembra una vita, quel genere di apice che non tornerà mai più” e poi che “c’era una fantastica,universale sensazione
che qualunque cosa facessimo fosse giusta,che stessimo vincendo (...) sulle
forze del vecchio e del male”, per concludere che “avevamo tutto lo slancio,
cavalcavamo la cresta di un’altissima e meravigliosa onda. E ora, meno di
cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e guardare
ad ovest e, con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno
dell’acqua alta, quel punto dove alla fine l’onda si è infranta ed è tornata in
dietro”, è evidente come gli autori abbiano fatto propria la prospettiva di
Hunter S. Thompson. Infatti,questa parte, una delle più importanti del film,
viene completamente ripresa dal romanzo, così come avviene per un altro
momento, verso la fine, in cui Raoul Duke descrive gli hippie (quindi, in
parte, “si descrive”) come “consumatori di acido patetici e appassionati che
pensavano di comprarsi pace e comprensione 3 dollari la botta (...) una
generazione di storpi permanenti, di cercatori falliti che non ha mai capito la
vecchia, essenziale falsità della cultura dell’acido, la disperata supposizione
che qualcuno, o almeno qualche forza, custodisse la luce al fondo del tunnel”.
È questo un duro attacco alla cultura della droga che, vista come via
alternativa e mistica alla felicità,aveva finito per ingannare milioni di persone,
estraniandole dalla realtà4. A tal proposito è importante
sottolineare come lo stesso Terry Gilliam, negli anni 60, sia stato un
attivista del movimento studentesco americano e, quindi, quanto per lui risulti
“autobiografico” il tema trattato dal romanzo. Inoltre, è da sottolineare come
la scelta linguistica e narrativa di “riproporre” fedelmente il romanzo sia
dovuta, anche, alla motivazione di raggiungere un pubblico affine a quello del
libro, un pubblico, cioè, che apprezza uno stile innovativo e, a tratti,
selvaggio,uno stile in cui delirio visivo e riflessione generazionale si
muovono fianco a fianco.
È
interessante notare come, in un film come “Paura e delirio a Las Vegas”, vi sia
un continuo intreccio tra Storia
collettiva e storia individuale,anzi di come quest’ultima finisca per chiamare
in causa più volte la prima. Infatti, le “avventure” di Raoul Duke e Dottor
Gonzo divengono il simbolo grottesco ed esasperato del naufragio dell’utopia
hippie. A sancire il legame tra il “viaggio al centro del sogno americano”
compiuto dai due personaggi e la fine del “flower power” sono i momenti di
ricordo e di riflessione a cui si abbandona Raoul Duke, anche se l’inizio
stesso del film, una sequenza di montaggio con immagini della guerra del
Vietnam ed i manifestazioni dell’epoca, rimanda direttamente alla storia di
un’intera generazione. Tra l’altro, l’espediente dell’immagini di repertorio
usate a scopo denotativo viene ripreso in momento fondamentale della pellicola,
“quella nervosa notte a Las Vegas” in cui Raoul Duke definisce la situazione
sociale e politica della metà degli anni 60 “quel genere di apice che non
tornerà mai più”, finendo per riconoscere, con tristezza e nostalgia, la
sconfitta di un intero movimento. A fare da sfondo a queste riflessioni sono
immagini di manifestazioni pacifiste e di concerti affollati, immagini che
contrastano profondamente con il discorso pieno di amarezza portato avanti da
Raoul Duke. Inoltre, e’ da notare come tutto ciò sia generato da un flash-back
improvviso in cui il giornalista si rivede giovane, ricordandosi di come tutto
fosse diverso nel 1965, anno
che segnò l’inizio della diffusione dell’ideologia hippie . In questo modo la
finzione (la ricostruzione della San Francisco del ’65, nella quale viveva
Raoul Duke), ma anche la storia personale,e la Storia collettiva (le immagini
di repertorio), convivono fianco a fianco, anzi si sovrappongono, generando un
intreccio particolare riscontrabile in più punti del film.
1.“Terry
Gilliam – la fantasia al potere può cambiare la realtà” di Francesco Alò,
Andrea Mi in “Amarcord – il lato oscuro del cinema” n° 16 gennaio – febbraio
1999.
2.
Ecco alcuni esempi :
“-
Incontro Alì – Frasier.
-
La giusta fine degli anni 60. Alì battuto da un hamburger umano” oppure “Etere
diabolico ti fa comportare come l’ubriacone del villaggio di un romanzo
irlandese” o ancora “Il circo Bazooko è quello che tutto il mondo alla moda
sarebbe se i nazisti avessero vinto la guerra. È il sesto reich”.
3.
Vedi nota 1.
4.
A tal proposito, Terry Gilliam, nella già citata intervista apparsa su
“Amarcord”, dice “(...) È un discorso molto interessante perché non si limita a
parlare delle droghe e dei loro effetti ma di responsabilità individuali (...)
si contesta l’idea che molti ragazzi avevano all’epoca, cioè che si potesse
comprare la saggezza, si potesse comprare la comprensione, si potesse comprare
l’esperienza” e ancora “È la dura risposta a tutti quelli che pensavano ci
potesse essere qualcuno o qualcosa che li potesse prendere per mano e guidare
verso la luce in fondo al tunnel. Non c’è nessuno tranne noi. Noi siamo gli
unici responsabili del nostro agire, perciò diamoci da fare”.
“Paura
e disgusto a Las Vegas” di Hunter S. Thompson.
“Cuore
di tenebra” di Joseph Conrad.
“Paura
e delirio a Las Vegas” 1998; Usa; interpreti: Johnny Depp, Benicio del Toro,
Ellen Barkin, Craig Bierko, Gary Busey, Cameron Diaz, Flea, Mark Harmon,
Katherine Helmond, Michael Jeter, Lyle Lovett, Tobey Maguire, Chris Meloni,
Christina Ricci, Harry Dean Stanton, Tim Thomerson; sceneggiatura: Terry
Gilliam, Tony Grisoni, Tod Davies, Alex Cox; direttore della fotografia: Nicola
Pecorini; montaggio: Lesley Walker; prodotto da Laila Nabulsi, Patrick
Cassavetti, Stephen Nemeth; diretto da
Terry Gilliam.
“Apocalypse
now” 1979; Usa; interpreti :Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall,
Frederic Forrest, Albert Hall, Sam Bottoms, Larry Fishburne, Dennis Hopper;
sceneggiatura: Francis Ford Coppola, John Milius; direttore della fotografia:
Vittorio Storaro; montaggio: Richard Marks; prodotto e diretto da Francis Ford
Coppola.