L’Oriente ha una certa fissazione con l’orrore veicolato attraverso
oggetti di uso comune e nell’era dei gadget tecnologici, dopo
videocassette e cellulari demoniaci tocca alla macchina fotografica il
compito di spaventarci nel buio delle sale estive.
All’occhio del pubblico di appassionati ormai indubbiamente smaliziato e abituato a certi moduli narrativi orientali, Shutter
apparirà come il classico compitino portato a termine senza infamia e
senza lode: la sceneggiatura procede senza sobbalzo alcuno
dall’incidente iniziale fino alla rivelazione finale attraverso gli
obbligatori passi intermedi di scavo psicologico e indagine dei fatti
senza mai svoltare nei territori dell’originalità.
Ma se si può imputare a Banjong Pisanthanakun e Parkpoon Wongpoom (Alone, Phobia, Phobia 2)
una certa banalità nella concezione del plot è anche vero che i due si
salvano da cadute eccessive nel reame della noia portando a conclusione
la vicenda secondo manuale e riuscendo a tenere sempre vivo l’interesse
dello spettatore attraverso una continua alternanza di momenti di pausa e
brusche esplosioni di ritmo.
Fra il solito uso smodato di crescendo sonori, flash visivi e bus (è una
delle pellicole recenti che più abusa di questi meccanismi), i registi
trovano anche il tempo di creare alcuni momenti realmente disturbanti
sfruttando il clichè della ragazza fantasma dai capelli lunghi, pelle
pallida e occhi strani in modo più efficace della media dei cloni che ci
hanno invaso negli ultimi tempi.
Impeccabili come al solito fotografia e interni (ma ciò, attenti, non
implica un giudizio positivo sugli stessi) e difficili da valutare le
prove dei vari attori vista la mia scarsa esperienza con i moduli
recitativi ed espressivi orientali.
In un periodo di “magra” per quanto concerne le uscite cinematografiche
avrei forse apprezzato in modo maggiore un film di questo tipo;
purtroppo Shutter esce compresso fra molti altri titoli similari e
in definitiva non si sente il bisogno di un’ennesima pellicola figlia
dei vari Ringu e Ju-On (ai quali ruba anche un paio di scene).
In mezzo al piattume della narrazione brillano alcuni passaggi
genuinamente terrorizzanti (il black out nello studio, alcune
apparizioni sparse del fantasma…) e spicca come elemento originale la
psicologia del protagonista, un personaggio che impareremo a scoprire
realmente solo alla fine della pellicola e che a quel punto ci apparirà
estremamente diverso da quello che pensavamo.
Shutter: da antologia (e sarà difficile sbarazzarsi di quella immagine, almeno per il sottoscritto) il terribile finale con una delle immagini-metafora più intense della storia del cinema sui fantasmi.
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Titolo: Shutter
Titolo originale: Shutter
Nazione: Thailandia Anno: 2004 Regia: Banjong Pisanthanakun, Parkpoom Wongpoom Interpreti:
Ananda Everingham, Natthaweeranuch Thongmee, Achita Sikamana, Unnop
Chanpaibool, Chachchaya Chalemphol, Samruay Jaratjaroonpong, Abhijati
Jusakul, Binn Kitchacho
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